Infezione da COVID-19 e Trombosi

RELAZIONI PERICOLOSE
Infezione da COVID-19 e Trombosi

L’IMPORTANZA DI SCEGLIERE UNA TERAPIA ANTICOAGULANTE SU MISURA DEL PAZIENTE

31 pazienti su 100, fra quelli colpiti da Covid, hanno avuto complicanze da trombosi, e l’uso di farmaci antitrombotici a dosaggio più alto rispetto all’abituale ha avuto impatto positivo sui pazienti ad alto rischio. Questi i risultati della revisione pubblicata su CurrentCardiology Report nel giugno 2020, con l’obiettivo di dare indicazioni sulle terapie antitrombotiche più efficaci da usare nei pazienti positivi al virus.

Già durante la prima ondata di diffusione del Covid è emerso prepotente il legame fra infezione da parte del virus e aumento dei pazienti colpiti da complicanze da trombosi.

Un’analisi scientifica è stata pubblicata nel luglio 2020 dal prof Sergio Coccheri, socio fondatore di ALT Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari Onlus, clinico fra i massimi esperti nel campo della trombosi, che ha esplorato la relazione fra infezione da COVID‑19 e il sistema della coagulazione del sangue. © Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) 2020

Capire i meccanismi che attivano il sistema della coagulazione del sangue è fondamentale per comprendere quale relazione pericolosa esista fra le infezioni e le malattie causate da trombosi, venose o arteriose, note con il nome dell’organo che colpiscono quali infarto del miocardio, ictus cerebrale, ischemia, trombosi venose, embolia polmonare.

La Trombosi si verifica spesso nei pazienti colpiti da infezioni gravi che portano a sepsi (setticemia), ma con meccanismi diversi rispetto a quelli con i quali si manifesta nei micro vasi, più specifica nei pazienti colpiti da COVID-19, nei quali si verifica uno stato infiammatorio molto esteso che provoca una massiccia attivazione del sistema della coagulazione, che ne coinvolge gli attori principali: l’endotelio che fodera la parte interna del sistema circolatorio (cuore, arterie, vene, capillari, microcircolo) che si infiamma a causa delle sostanze liberate dal sistema immunitario eccitato dal virus; le piastrine che accorrono per prime a spegnere l’incendio sulle pareti dei vasi colpiti; i fattori della coagulazione che attivati dalle piastrine costruiscono il trombo con l’intenzione di guarire la parte malata; il sistema della fibrinolisi che provvede a sciogliere il trombo una volta che questo abbia completato il lavoro di guarigione della parete del vaso colpito.

Il meccanismo della coagulazione (più correttamente definita emostasi) è molto sofisticato e ha lo scopo e la capacità di guarire i tessuti malati, ma può in alcuni casi accendersi in modo incontrollato e causare la formazione di trombi all’interno dei vasi colpiti dall’infiammazione accesa dal virus.

Rimettere il sistema della coagulazione nel suo insieme in equilibrio è compito dei farmaci antitrombotici, che dovrebbero essere usati in modo ritagliato su misura in pazienti diversi, adattando tipo e dosi di farmaco antitrombotico alle caratteristiche individuali di ciascuno: caratteristiche che dipendono dalla storia famigliare, personale e dai punti deboli di ogni singolo paziente. Pazienti diversi rispondono in modo variabile a farmaci identici.

Diversi gruppi di ricercatori hanno pubblicato negli ultimi mesi numerosi lavori scientifici sulla relazione fra infezione da COVID-19 e trombosi riassunti in una revisione pubblicata su CurrentCardiology Report nel giugno 2020, nel tentativo di spiegare lo stato di iper coagulabilità che si verifica nei pazienti colpiti da COVID, e con l’obiettivo di dare indicazioni sulle terapie antitrombotiche più efficaci da usare nei pazienti colpiti.

I risultati della revisione sono molto significativi:31 pazienti su 100, fra quelli colpiti da Covid, hanno avuto complicanze da trombosi; l’uso di farmaci antitrombotici a dosaggio più alto rispetto all’abituale ha avuto impatto positivo sui pazienti ad alto rischio.

Sono stati formulati metodi di quantificazione del rischio di ogni singolo paziente basati su metodi simili disponibili in letteratura, dimostrando che ogni paziente deve essere considerato nella sua peculiarità e ricevere dosi di farmaci anticoagulanti specificamente ritagliate sulle sue caratteristiche.

Scegliere fra diversi farmaci antitrombotici e diverse dosi richiede grande attenzione da parte del medico, che si trova a dover rispettare il fragile equilibrio fra l’efficacia del farmaco anticoagulante nel rendere il sangue più fluido del normale e il rischio di emorragia che incombe sempre quando la fluidificazione del sangue si rivela eccessiva.

“Da oltre 30 anni – spiega la presidente di ALT – Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari – Onlus Lidia Rota Vender –diffondiamo informazioni corrette attuali, tempestive e attendibili che provengono dal mondo della ricerca scientifica. Ormai sappiamo molto in merito alla trombosi e all’importanza di adottare uno stile di vita sano, ma non potevamo essere a conoscenza dell’incidenza di Covid-19 sul sistema immunitario dei pazienti già a rischio. Grazie ai recenti avanzamenti della ricerca abbiamo appreso che intercorre uno stretto legame tra il virus e il rischio di trombosi e che non c’è una cura standard da prescrivere indistintamente a ogni paziente, ma le dosi dei farmaci anticoagulanti vanno calcolate valutando caso per caso”.

Per comprendere i “desiderata” dei pazienti che assumono abitualmente farmaci anticoagulanti perché già colpiti da trombosi in precedenza o ad alto rischio di trombosi ed embolia perchè affetti da aritmia o altra patologia ad alto rischio tromboembolico Datanalysis ha realizzato un’indagine conoscitiva, nel periodo 5/10/2020 – 20/10/2020, intervistando telefonicamente, nel rispetto della Legge sulla Privacy, 428 pazienti in terapia anticoagulante per precedenti eventi da trombosi, selezionati dalla banca dati di Datanalysis e distribuiti sull’intero territorio nazionale. Risultati:

• 55 pazienti su 100 chiedono maggiore disponibilità per consulti medici per via telematica, segnalando la difficoltà di accedere ai medici dentro e fuori dagli ospedali;

• 34 su 100 dichiarano di essersi isolati, spontaneamente frequentando solo i famigliari più stretti;

• solo 7 persone su 100 si affidano alle fonti di informazione istituzionali, mentre 32 su 100 trovano risposte alle proprie domande contattando i medici di famiglia e specialisti, 18 su 100 alle associazioni di pazienti, 21 su 100 attraverso i social media, e infine 20 su 100 si fidano delle informazioni diffuse dai media tradizionali giornali tv e radio.

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