Sergio e la montagna

LA MIA STORIA
Sergio e la montagna

Sergio adorava guardare le sue amate montagne, sempre, dal vivo durante le escursioni, ma anche dalla sua stanza in ospedale: quante ne aveva scalate, in pochi anni e quante nuove sfide ancora intendeva affrontare in quel mondo magico. Sergio, ogni volta che incominciava una nuova sfida, si preparava con scrupolo e determinazione esercitandosi in palestra e in bicicletta. In montagna il respiro diventa

affannoso, la tensione dell’ossigeno è più bassa perché l’aria è più rarefatta, rispetto a quella che si respira in pianura, ma tanto più pulita e senza polveri sottili o inquinamento. E Sergio si allenava, con costanza e con l’ansia di ripartire. Eppure da qualche mese il suo respiro era cambiato, era diventato più affannoso, non lo sosteneva più come una volta nella scalata: difficile dar la colpa all’età che passa, Sergio stava vivendo i suoi splendidi 37 anni, sapeva come alimentarsi e come star lontano da vizi che non erano per lui, come il fumo o l’alcool.

Chi condivideva la sua stessa passione riconosceva anche da lontano la sua figura imponente, con un grande sorriso sul viso e la macchina fotografica sempre a portata di mano.

Aveva ricordi straordinari di Paesi vicini e molto lontani, che ripercorreva nei momenti di quiete, come un film srotolato nella memoria, e che amava raccontare con dettagli che affascinavano grandi e bambini. Sentiva dentro una forza irresistibile, che lo esortava a continuare, ad arricchirsi di emozioni sempre nuove, con una passione che trasmetteva con la sua poderosa stretta di mano a tutti coloro che gli stavano intorno. Aveva molta cura di sé, si sottoponeva regolarmene ai controlli. Da tre giorni era ricoverato perché i medici avevano deciso di approfondire le ragioni dei suoi sintomi per capire che cosa stesse succedendo ai suoi polmoni: avevano perso potenza. Sergio si sentiva troppo rapidamente affaticato durante le scalate, come se la sua riserva di respiro si fosse rimpicciolita;, era più sensibile al freddo, questa era una vera novità, non era da lui.

Non ne aveva parlato subito con i suoi famigliari, né con i suoi amici: aveva deciso di sottoporsi agli esami medici senza allarmare nessuno, ma cercando le ragioni della improvvisa fragilità del suo corpo. Aveva distolto gli occhi dalla montagna solo quando il medico era entrato in camera: aveva sul viso un’espressione composta e in mano alcuni fogli. Ma quando sollevò gli occhi Sergio vi lesse un’amarezza che non gli conosceva. Ipertensione polmonare era la diagnosi: apparentemente non grave, nell’interpretazione di Sergio, non c’era la temuta parola “cancro”, pensava, qualunque altra diagnosi avrebbe potuto essere affrontata proprio come una sfida, proprio come faceva con la montagna. Ma come?

Il medico gli stava spiegando, con parole semplici, che le arterie che portano il sangue al polmone si erano ristrette troppo e si erano chiuse, soprattutto i rami più piccoli, quelli dove avvengono gli scambi fra l’anidride carbonica e l’ossigeno recuperato dall’aria respirata. Piccoli emboli avevano negli anni progressivamente chiuso un numero sempre più grande di arterie, i suoi polmoni avevano cercato di compensare quel fenomeno lavorando più intensamente nelle parti che ancora respiravano: ma alla fine troppo esteso era diventato il territorio occupato da quei frammenti di trombo, che chissà in quale parte del suo corpo si erano formati, senza dare segni di sé e liberando in modo subdolo frammenti invisibili, che avevano alla fine occupato la maggior parte del letto arterioso dei suoi polmoni. Anche il cuore ci aveva rimesso: il ventricolo destro si era ingrandito, nel tentativo di pompare il sangue contro una resistenza polmonare aumentata, perché le arterie erano chiuse.

Sergio non aveva mai sentito parlare di ipertensione polmonare, il quadro che il medico stava descrivendo gli era completamente nuovo, ma era convinto che tutto si sarebbe risolto. La medicina fa grandi cose e lui non avrebbe mollato, avrebbe seguito tutte le indicazioni dei medici, perché era in cima a quel picco che vedeva dalla finestra che voleva tornare.

Un chirurgo esperto lo avrebbe operato, avrebbe rimosso gli emboli che occludevano le sue arterie polmonari, lui avrebbe ricominciato a respirare come prima e meglio di prima: non rientrava nel vocabolario di Sergio il verbo “arrendersi”. È stato il suo cuore invece ad arrendersi: troppo affaticato, incapace ormai di fare il proprio lavoro, il cuore di Sergio si è fermato, la notte dell’11 marzo 2016, e non è più ripartito, lasciando la sua famiglia e i suoi amici sgomenti e straziati dal dolore.

Ma una parte di Sergio è rimasta: il suo sorriso, quello che ora rimane nel cuore della sua famiglia, dei suoi amici, che hanno deciso di tenere vivo il ricordo di un uomo speciale e coraggioso e vorrebbero che non succedesse ad altri quello che è successo a lui. Le persone che lo hanno amato hanno deciso di sostenere il lavoro di ALT creando un Fondo “In memoria di Sergio Frasson”, destinato a finanziare il lavoro degli scienziati e dei medici che tanto hanno scoperto sulla Trombosi in questi anni, ma tanto ancora possono scoprire. Perché la ricerca è vita e la conoscenza dei meccanismi che provocano Trombosi ed Embolia salverà molte vite, anche in nome di Sergio.

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