Gabriella e la farfalla

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Gabriella e la farfalla

Non ricordava quando avesse cominciato esattamente a parlare in modo così….pittoresco, ma ricordava bene come si era sentita quella sera di tre anni prima. A tavola con suo marito disse : “Ti ho detto che ho incontrato Vittoria e mi ha proposto un viaggio fantastico per Natale, noi quattro, in Birmania, a visitare i templi, il tempo dovrebbe essere bello, tutto organizzato da un’agenzia molto efficiente…“. Lui le aveva risposto che sì, gli sembrava proprio una buona idea.  Dopo pochi minuti l’aveva ridetta, la stessa identica frase, con la stessa identica inflessione di voce, la stessa mimica del viso e delle mani… Lui l’aveva guardata un po’ sorpreso, sì, aveva capito, ci avrebbe pensato.  Alla quarta volta, lui aveva solo due possibilità: dirle che la piantasse di scherzare, e andarsene a dormire, o occuparsi di lei. Aveva scelto la seconda opzione, per fortuna. Le aveva messo un cappotto sulle spalle e l’aveva, con dolcezza, ma un po’ in fretta, portata fino alla macchina, premendo un pochino la sua schiena e avvolgendola con il braccio, un po’ per sforzarla, un po’ per sostenerla. Da lì in poi lei non ricordava nulla. In seguito aveva riempito quella parte vuota con i ricordi del marito, che le aveva raccontato come erano andate le cose, ma lei per qualche ora nella vita non c’era stata.

Quei ricordi erano di seconda mano, quelli di prima mano si erano persi da qualche parte nel suo cervello.

E il frullo in gola, era ancora lì: ogni tanto si faceva sentire, non sempre. Quando arrivava le girava anche un po’ la testa, cercava di sostenersi ad un appoggio per non cadere e sentiva il bisogno di respirare profondamente. La chiamavano fibrillazione atriale, i medici. Appariva all’improvviso, un po’ come il veloce battere d’ali di una farfalla, lo sentiva in gola, il cuore tuonava, faceva un rumore assordante e disordinato, e le si appannava la vista. Ormai aveva imparato: quando lo sentiva arrivare si fermava, faceva un respiro profondo, cercando di rilassarsi e rassicurandosi da sola che sarebbe passato. E passava.. Non lo aveva raccontato a nessuno, le sembrava una cosa banale, tanto passava da sola. A cinquant’anni era un po’ presto ammalarsi, aveva troppo da fare, per fare la lagna. Aveva dovuto farla per forza, la lagna, dopo: ictus cerebrale, fibrillazione atriale, gastrite con una piccola ulcera.

Il medico le aveva spiegato che il suo stomaco faceva le bizze e non si svuotava bene, sempre gonfio d’aria.  Il cuore era disturbato da tutta quell’aria. Il guaio grosso lo aveva creato quel poco di sangue che, invece di scorrere, ristagnava nel cuore ogni volta che cominciava la fibrillazione e aveva formato un embolo che era partito come un siluro nel sangue e non si era fermato finché nel cervello aveva trovato un’arteria piccola, piccola per lui, e l’aveva tappata. Tutta la parte che prendeva sangue e ossigeno da quella arteria era andata in confusione; e guarda caso era la parte che governava la sua personalità, il suo carattere, la memoria delle cose successe di recente, e freni inibitori. Si era tolta anche qualche soddisfazione, ogni tanto se lo confessava: quella storia che quel suo modo di parlare un po’ sboccato non dipendeva in fondo completamente da lei.

In vacanza ci era andata non solo a Natale, ogni anno, con le sue medicine nella borsa, una per ridare al cuore il ritmo giusto, una per fluidificare il sangue, perché non giocasse altri scherzi.

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