Esiste un fattore speciale nel nostro sangue, si chiama XIII e non è il re di Francia

TROMBOSI DALLA A ALLA Z
Esiste un fattore speciale nel nostro sangue, si chiama XIII e non è il re di Francia

Le coronarie sono le arterie attraverso le quali il sangue scorre per portare ossigeno e nutrimento al muscolo cardiaco. Se una coronaria si chiude per uno spasmo improvviso, o, più probabilmente, perché si forma un trombo su una placca aterosclerotica che occupa la parete della coronaria malata, si verifica un infarto miocardico: quanto più esteso è l’infarto tanto più grande sarà la cicatrice che si forma e tanto meno efficiente diventerà il muscolo cardiaco nel contrarsi per spingere il sangue nelle arterie fino a tutte le cellule del corpo, anche le più lontane.

I fattori che fanno coagulare il sangue si chiamano ciascuno con un numero romano, da I a XIII: proprio il fattore XIII sembrerebbe giocare un ruolo chiave nel favorire una buona guarigione del tessuto cardiaco colpito da infarto.

Quando il fattore XIII è presente in quantità insufficiente, il cuore guarisce male: potrebbe arrivare a rompersi e a cambiare addirittura forma diventando ovaloide o sfiancato come una scarpa vecchia.

Durante l’infarto del miocardio, il fattore XIII contribuisce alla formazione del trombo nella coronaria ma solo per attivare i processi di riparazione della zona colpita. Verificare questa ipotesi e capire se il livello del fattore XIII nel sangue corrisponde a una migliore o peggiore possibilità di guarigione dopo un infarto è stato l’obiettivo della ricerca sostenuta da ALT compiuta in questi anni presso l’Università di Ferrara dal gruppo di ricercatori coordinati dal prof Donato Gemmati, che ha ora pubblicato questo lavoro scientifico per diffondere i risultati ottenuti.

LO STUDIO

350 pazienti con infarto acuto sono stati seguiti nei primi sei giorni dopo l’evento e controllati a distanza di 30 e poi 60 giorni, e tutti sono stati seguiti per circa un anno. In tutti i pazienti si è constatata una leggera diminuzione transitoria dei livelli di fattore XIII: i casi nei quali il calo del livello di fattor XIII stato più accentuato corrispondono a pazienti che non hanno avuto un buon recupero dopo l’evento, ma che hanno anzi sviluppato scompenso. Questi pazienti avevano già al momento dell’infarto stesso un livello di fattore XIII più basso della media.

La stessa osservazione è stata confermata in pazienti che per l’infarto hanno perso la vita, mentre i pazienti che sono sopravvissuti con una buona qualità della vita e senza nuovi eventi hanno mantenuto un livello di fattore XIII più elevato.

Si è anche osservato che il calo del livello di fattore XIII non dipendeva dalla dimensione della ferita lasciata dall’infarto, e il livello di fattore XIII corrispondeva inversamente alla probabilità di morte o di gravi conseguenze: tanto fattore poche conseguenze, poco fattore tante conseguenze.

Se si confermerà che il livello del fattore XIII si correla con la probabilità di guarigione dopo l’infarto, si potrebbe a breve utilizzare il dosaggio di questo fattore per selezionare i pazienti più fragili che potrebbero essere trattati in modo più specifico per bloccare sul nascere la tendenza del muscolo cardiaco a fermarsi o a deteriorarsi, quindi non solo a ridurre la probabilità di morte ma anche la probabilità di andare incontro allo scompenso, uno stato di inadeguatezza del cuore a svolgere la propria funzione, che comporta difficoltà di respiro, difficoltà nello svolgere compiti fisicamente anche poco impegnativi, difficoltà nel salire le scale, progressivo deterioramento delle funzioni cognitive e aumento del rischio di ictus cerebrale.

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